Molti studi convergono nell’identificazione di quattro caratteristiche della società moderna: velocità, variabilità, volatilità, volumi di informazioni che vengono generate, raccolte, elaborate. Sono quattro caratteristiche che toccano la sfera sociale, politica, economica, istituzionale e che hanno riflessi sulle condizioni delle persone e delle famiglie.
Le principali conseguenze di queste caratteristiche sono l’indebolimento dei corpi intermedi e l’emergere di nuovi gruppi di persone vulnerabili. Sono i poveri vecchi e nuovi, gli immigrati, nei confronti dei quali si sono accentuati comportamenti di esclusione e sempre più spesso di razzismo, le donne penalizzate in termini occupazionali, economici e purtroppo non dirado colpite da violenze, i giovani che abbandonano la scuola e coloro che non trovano lavoro, le persone espulse dal mercato del lavoro in modo spesso imprevisto e repentino. Questi ed altri gruppi fragili e vulnerabili non trovano più risposte nel tradizionale sistema di welfare e nelle opportunità che in passato erano consentite da un’economia non ancora colpita dalla crisi del 2007-08 e da cui l’Italia non si è ancora risollevata.
Non trovano risposta da parte delle amministrazioni pubbliche di vario livello (statale, regionale, locale) a causa di regole burocratiche, di inefficienze e sprechi, dei vincoli della finanza pubblica che agiscono sul contenimento della spesa, delle contraddizioni e delle incongruenze determinate dall’estrema volatilità della politica. Il tradizionale sistema di welfare non è più in grado di garantire alle future generazioni uguali opportunità e non è più in grado di attuare trasferimenti dai gruppi più ricchi e tutelati della società ai gruppi più poveri, fragili, meno tutelati.
A sua volta il sistema di mercato e l’azione delle imprese private, nonostante notevoli progressi con riguardo ai temi della responsabilità sociale e della sostenibilità, sembra prigioniero di logiche e di meccanismi che spingono a privilegiare le esigenze e i bisogni della parte più ricca della popolazione. Il tanto conclamato effetto di “traboccamento (spill over)” della ricchezza, che forse si è manifestato parzialmente negli anni di maggiore crescita dell’economia mondiale italiana oggi si è del tutto bloccato. L’ascensore sociale si è arrestato o ha addirittura invertito la direzione in quanto un numero crescente di persone stanno passando dalla condizione di classe media a quella di classi povere. Il criterio della convenienza spinge le imprese a rivolgersi ai cosiddetti consumi voluttuari e di lusso per i quali chiedere prezzi alti ma ai quali accedono fasce sempre più ridotte della popolazione. Oppure producono beni e servizi “low cost” che si rivolgono ai gruppi a più basso reddito. Peraltro beni e servizi “low cost” sono anche quelli che in molti casi sono dannosi per la salute (ad esempio junk food) e per la qualità della vita.
Si rileva una divaricazione crescente tra dibattiti, analisi, dichiarazioni sui gruppi fragili e vulnerabili della popolazione, di cui si è parlato anche negli ultimi anni durante il World Economic Forum, e politiche, interventi, azioni concrete rivolte ad affrontare in modo realistico ed efficace i loro problemi. Senza ripetere confronti con altri Paesi, per quanto riguarda l’Italia si può sottolineare che i bisogni e le esigenze dei gruppi fragili e vulnerabili possono essere affrontabili attraverso politiche e interventi di innovazione sociale. La nuova sfida è infatti quella di trasformare i valori delle persone (solidarietà, altruismo, senso del dovere, etica) in valore economico e sociale. L’economia del XX secolo si è fondata sulla promessa di trasformare l’aumento della ricchezza, in migliore qualità della vita. Una promessa che con l’inizio del nuovo secolo si è trasformata sempre più in illusione e delusione, almeno nei Paesi occidentali. Il superamento della fase di delusione e per certi aspetti di mancanza di speranza per il futuro che caratterizza i gruppi fragili e vulnerabili può avvenire dal rafforzamento della cultura di innovazione sociale. Senza un riequilibrio tra capacità di innovazione sociale e capacità di sviluppo delle conoscenze scientifiche e innovazione tecnologica, queste ultime comportano il rischio di generare nuove divaricazioni sul piano economico (disuguaglianze di reddito), dell’accesso alle conoscenze (knowledge divide), della qualità di vita (social divide).
L’innovazione sociale deve riguardare un nuovo modo di amministrare la cosa pubblica che deve ritornare ad essere al servizio dei cittadini, il modo di fare impresa che deve ritornare ad essere istituzione che produce ricchezza economica e ritorni positivi per i diversi stakeholder, la conquista di uno spazio autonomo e indipendente da parte delle istituzioni del Terzo settore. Innovazione sociale significa sostituire alla logica della competizione “contro” qualcuno la logica della competizione come sfida con se stessi, per continuare a migliorare, e con problemi sempre più complessi che richiedono la collaborazione tra istituzioni pubbliche, imprese, istituzioni di Terzo settore. La competizione contro è quella tipica del mercato nel quale se un’impresa aumenta i propri clienti li sottrae ad altre imprese, se aumenta i prezzi seleziona coloro che non possono permetterseli, se riduce i prezzi di acquisto dei beni penalizza i fornitori. La competizione contro è quella tipica dell’arena politico-istituzionale, nella quale se un partito o un movimento aumenta il consenso altri lo perdono, se un ministero o un assessorato ottiene maggiori fondi, altri li perdono. La competizione-collaborazione è quella che consente di perseguire generare sinergie, di ricercare soluzioni nelle quali tutti i soggetti coinvolti possono vincere insieme. Poiché è in grado di trasformare i “valori profondi delle persone” in valore economico e sociale, la competizione-collaborazione può rispondere ai bisogni, alle attese, alle speranze dei gruppi deboli e vulnerabili.
Un gruppo di ricercatori e docenti delle Università della Campania ha deciso di accettare la sfida dell’innovazione sociale e ha dato vita a Netris (Network di ricerca sull’innovazione sociale) che:
- Si caratterizza per la missione di promuovere, sviluppare e rafforzare politiche e forme di collaborazione tra settore pubblico e privato, non profit e profit;
- Si è data la visione di far emergere e dare visibilità alle molte iniziative di innovazione sociale già presenti nel territorio campano, anche nelle aree più critiche, proponendosi come rete delle reti;
- Ha definito la strategia di potenziare la capacità dei suoi componenti di realizzare ricerche collegate alle esigenze delle comunità e dei territori della Regione e iniziative formative a vari livelli in grado di generare quel “capitale umano e sociale” che costituisce la moderna e più solida infrastruttura intangibile per il futuro;
Si propone di realizzare l’attivazione di un sito di riferimento che raccolga informazioni utili a valorizzare esperienze di innovazione sociale, raccogliere informazioni relative alle buone pratiche presenti nella Regione o provenienti da altri contesti, proporre occasioni di incontro (convegni, workshop, tavoli di confronto su temi specifici, etc.), dare indicazioni su come affrontare gli adempimenti derivanti dalla riforma degli enti del terzo settore, elaborare metodologie per valutare l’impatto sociale dei progetti e degli interventi finanziati da amministrazioni pubbliche o da imprese attente alla responsabilità sociale.