QUANDO L’INNOVAZIONE È NELLE ISTITUZIONI PUBBLICHE

di ELIO BORGONOVI – Da decenni, qualcuno dice addirittura dell’unità di Italia (1861), si parla di riforme delle amministrazioni pubbliche. Ci si confronta sul fatto che le riforme consistano nella semplificazione, nella valutazione dei risultati, nell’applicazione di nuove tecnologie, nelle leggi anticorruzione e l’elenco potrebbe essere ancora molto più lungo. Si dimenticano, però, due aspetti che a mio parere sono molto importanti. Innanzitutto, il fatto che esistono anche nelle amministrazioni pubbliche tante persone che hanno già fatto, e ogni giorno fanno, le riforme perché si impegnano per risolvere i problemi dei cittadini. Sono persone che non vengono riconosciute, che spesso non fanno carriera, che a volte rischiano in prima persona. Sono persone che in modo troppo sbrigativo sono messe nel “grande calderone della amministrazione nemica” dei cittadini, delle imprese, della società civile, senza distinguerle dai burocrati insensibili, fannulloni, corrotti o collusi. Il secondo aspetto riguarda le caratteristiche dei “servitori fedeli dello Stato”. Sono quelli che interpretano le leggi secondo il principio per cui “tutto ciò che non è esplicitamente vietato è consentito” se serve a erogare un servizio e a dare risposte a bisogni di famiglie in difficoltà, di pazienti, di chi richiede certificati, e così via. Si comportano in modo esattamente contrario rispetto a coloro che, per non correre rischi e non assumersi responsabilità, ritengono che “tutto ciò che non è esplicitamente previsto da leggi/decreti/regolamenti/procedure è vietato, è pericoloso, è meglio farlo fare ad altri o non farlo per nulla”. La vera riforma sarebbe quella di dare voce e forza agli “innovatori” nelle amministrazioni pubbliche stabilendo con essi una alleanza per rendere la società più equa e giusta, oltre che più ricca e benestante.